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La cecità del narcisismo ideologico

  • Immagine del redattore: Manuel De Maria
    Manuel De Maria
  • 12 mar 2022
  • Tempo di lettura: 3 min

Nella notte del 24 febbraio scorso, l’Europa venne sconvolta da un mostro che aveva da tempo dimenticato. Dopo quasi un trentennio di pace (seppur relativa, visto che le guerre non si sono mai fermate nel medio oriente), il Vecchio Continente si è risvegliato con la guerra dietro l’angolo, non più astratta ma concreta, non più estranea, bensì comune. Dietro questa guerra di dimensioni continentali si nasconda uno stretto rapporto fra ideologia di guerra e cecità di essa.

Cecità, parola chiave che, per tanti motivi, dovrebbe essere messa nel conto di tutti coloro che, nel corso dei secoli, hanno imbastito guerre, personali e non. Uno di questi, forse il più basilare, spesso coincide con il grande narcisismo che nasce nei soggetti che, nel corso della storia, hanno scatenato conflitti in giro per il mondo. Proprio il narcisismo di sé causa una visione distorta della realtà che non distingue più ciò che giusto e ciò che non lo è, bensì, ciò che va contro il narciso e ciò che gli va a favore. Il Novecento ci ha insegnato questo, ma il fenomeno continua a protrarsi ancora oggi, se solo pensiamo alla posizione che sta assumendo Putin nel quadro internazionale: un uomo solo contro avversari uniti. Un uomo che, riflettendosi nel “narciso”, pone la causa della guerra al di sopra delle conseguenze di essa. È naturale: quando l’”Io” viene prima del senso comune, il risultato è che a farne le spese sono sempre i singoli, impotenti e sottostanti ad una logica folle e senza risentimento psicologico e morale. La fanatica cecità della guerra si pone in un livello superiore rispetto all’insignificanza della singola vita che sarà solo una semplice comparsa nei libri di storia nei quali, forse, come accadde durante la prima guerra mondiale, non compariranno neanche i nomi di coloro che, in questi giorni, stanno perdendo la propria vita. L’ego smisurato dei leader carismatici, però, risulterà per loro essere fatale. In un vortice che li risucchierà inesorabilmente, tutti crolleranno sotto le loro stesse costruzioni di sabbia, delle istituzioni deboli che pongono fondamenta su un uomo solo e non sulla comunità o al senso di democrazia. Un parallelismo narciso alla Dorian Gray, per il quale l’amore verso il proprio stesso personaggio risulterà fatale per la loro persona. Non riguarda solo il caso di Putin. Il tribunale della storia ci consegna tanti leader che sono caduti dal piedistallo: Hitler, Mussolini, gli esempi più vicini a noi, senza dimenticare Napoleone, schiacciato dal suo stesso personaggio tornato alla ribalta dopo il primo allontanamento dalla madrepatria. La storia è ciclica, imprevedibile ma allo stesso tempo prevedibile.



In più, si aggiunge il grande paradosso visto dalle masse: qualcosa di sbagliato come la guerra viene fatto passare, per ideologia, come “necessaria operazione militare”. Un artificio mediatico e propagandistico macchiato da censura che tende a nascondere lo scempio brutale psico-fisico della guerra. Il problema è: più la causa della guerra diventa importante, più la massa diventa piccola, insignificante, plasmata secondo un pensiero di ostilità nei confronti dello straniero che merita di essere attaccato, umiliato, sconfitto. Il costo che richiede la guerra, però, è caro e si calcola in termini di vite umane per poter raggiungere gli scopi preposti: sfollati, profughi, morti, orfani. Le conseguenze devastanti che porta il conflitto bellico non potranno e non devono mai essere sottostimate ne, tantomeno, ignorate. A fronte del fanatismo del singolo, facciamo sempre affidamento ai valori di democrazia e di unità, di senso comune che negli ultimi anni l’Unione Europea ci ha sempre garantito e che non può essere messa in secondo piano. La storia ci insegna che l’”Io” è più debole del “Noi”. Ce lo insegnano i partigiani, che liberarono il nostro paese dalla dittatura nazifascista, ce lo insegna la Resistenza che in questi giorni sta resistendo a Kiev ponendo Putin di fronte ad un maggiore bisogno di aggressività che è proprio di chi, schiacciato dal proprio ego, non accetta la sconfitta e che finirà, prima o poi, a doversi piegare ai bisogni di benessere comune di una massa che, se fino ad ora abbiamo definito piccola ed impotente, può risultare determinante e vittoriosa se accerchiata da valori di comunità e non di singolarità. E allora, anche oggi, dobbiamo appellarci a quei valori di illuminismo che tanto volevano il bene comune della Francia della Rivoluzione e che tanto servirebbero oggi per porre immediatamente fine ad una guerra che di fronte a sé ha solo una possibilità. Terminare a sfavore del narciso e a favore del senso di benessere della Patria.

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