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La deriva presidenziale di un delirio sovranista

  • Immagine del redattore: Manuel De Maria
    Manuel De Maria
  • 12 ago 2022
  • Tempo di lettura: 4 min

In una pazza campagna elettorale sotto l'ombrellone, la destra ha già messo dei Dom Pierre Pérignon al fresco: il perché non è chiaro ma stando alle dichiarazioni di Silvio Berlusconi forse una bottiglia di quei pregiati champagne è già stato stappato. Forse due.

Scherzi a parte. L'ex Primo Ministro stamattina ha parlato della possibilità che l'Italia passi dal parlamentarismo al presidenzialismo e, conseguentemente, anche alle immediate elezioni del nuovo Capo di Stato che, di fatto, dovrebbe lasciare l’incarico per l’elezione di un presidente in un asset istituzionale che cambierebbe completamente lo scenario. Parliamoci chiaramente: il presidenzialismo è una riforma fortemente voluta da Fratelli d’Italia ormai da anni che potrebbe diventare realtà a breve ma che non risolverebbe, almeno nella mia modesta opinione, il problema di stabilità governativa nel nostro sistema politico. Dopo una breve digressione sui tipi di forma di governo, commento le parole dell’ex Premier.



Spesso diciamo che la classe dirigente è lo specchio del paese inteso come comunità, allo stesso modo possiamo dire che la forma di Governo espressa in uno Stato nient’altro è che lo specchio della storia dello stesso. Quest’anno cadrà il centenario della Marcia su Roma, tra il 27 ed il 28 ottobre 1922, quel giorno che “durò” vent’anni e che consegnò l’Italia al periodo più buio della sua storia (dal quale la leader di FdI, Giorgia Meloni, fa fatica a smarcarsi) recente, il fascismo. La dittatura imperfetta che si instaurò convinse, di fatto, i Padri Costituenti nel ’46 a decentrare il potere consegnandolo non ad una persona ma ad una assemblea. Nasce così, di fatto, il nostro parlamentarismo, dove il Parlamento legifera e vigila sull’operato dell’esecutivo.

Il pasticcio, viste le storie recenti, è presto fatto. Se da un lato il parlamentarismo garantisce stabilità dal punto di vista istituzionale, non possiamo dire lo stesso dal punto di vista esecutivo e questo, diciamolo, è anche un po’ a causa in primis delle varie leggi elettorali che negli anni si sono succedute ma, soprattutto, anche a causa del cambiamento nell’arena politica degli assetti partitici. Dopo lo scandalo della Prima Repubblica, non abbiamo più avuto quel partito cerniera quale era la Democrazia Cristiana, capace di convergere ora a destra, per compiacere gli USA eliminando, di fatto, la sinistra dai Governi, ora al centro sinistra nel periodo del Compromesso Storico. Di fatto, nel corso degli anni abbiamo assistito da un lato ad una forte frammentazione politica, mi riferisco principalmente, per usare un’espressione odierna, al campo larghissimo del centro sinistra che, finita l’esperienza comunista, conobbe quella postcomunista con il PDS e poi abbracciò quella moderata con la DS, la Margherita e, più recentemente, il PD, ma anche al campo della destra dove, piuttosto che dividersi, si andò delineando la figura del partito-leader, figure che vennero fuse proprio da Silvio Berlusconi nel 1994. Di fatto, nei due macro poli si svilupparono dei micro poli, tendenti al centrismo che potevano risultare determinanti nella stipulazione di accordi parlamentari. Ciononostante, non si è mai arrivati ad avere grandi problemi nell’ordine di tenuta democratica o parlamentare.

Discorso ben diverso è per il Semi/Presidenzialismo, due simili ma diverse forme di Governo che riguardano principalmente il potere che viene dato all’esecutivo, nella sua versione “semipresidenziale” dove deve ricevere la fiducia dal parlamento dopo essere stato nominato dal Capo di Stato e può dunque essere sfiduciato a differenza della versione presidenziale dove il Capo di Stato sceglie e nomina il Governo. Maggiore fiducia, quindi? Non è esattamente così. Le elezioni del “mid-term”, così chiamate negli USA, prevedono l’elezione delle Camere durante il mandato del Presidente in carica che può, dunque, ritrovarsi un Congresso più o meno a favore. Un caso analogo lo si ritrova in Francia dove recentemente è stato eletto il nuovo parlamento che ha visto una forte polarizzazione ai danni del Presidente Macron che non ha più la maggioranza assoluta. Dunque, il presidenzialismo non è sinonimo di stabilità: ancor meglio, se lo è, non necessariamente è sinonimo di progressismo politico, ponendo spesso i Governi di queste nazioni a scendere a patti e allentando la presa sull’agenda dell’esecutivo annullando di fatto qualunque possibilità di incorrere in leggi più ideologiche.

Attenzione: come ben si può vedere tutte queste forme di Governo hanno i loro pro ed i loro contro. In Italia, in realtà, la soluzione c’è, ma non si chiama presidenzialismo ma proporzionale. Ciò che ha tallonato la stabilità politica negli ultimi anni è stata, infatti, sicuramente la scelta di leggi elettorali poco consone che minavano la solidità degli esecutivi che, nel frattempo, sono stati visti dai cittadini come punto cardine dei loro paesi a discapito dei parlamenti. D’altronde, l’idea nobile che vi era alle spalle, la nomina di un’assemblea che è diretta rappresentazione dei cittadini che a sua volta dà la fiducia al Governo guidato dagli stessi parlamentari (rappresentanza, dunque, indiretta), non era così avventata. Ma si sa, la politica non è una scienza esatta e nell’ultimo decennio il nostro arco costituzionale ha dato vita a qualsiasi tipo di Governo, di qualunque colore, anche grigio-tecnico. Quando dico che il cittadino non ha ben chiaro l’assetto istituzionale del proprio paese lo si riscontra quando il fil rouge delle campagne elettorali serpeggia nella falsa riga del “Premier non eletto dal popolo”.

Detto ciò, mi avvio alla conclusione: l’attacco diretto al Quirinale, pendolo stabile di una bilancia traballante è l’esatta rappresentazione della volontà di riunire i poteri sotto un’unica guida politica che non si interroga su quali possano essere le reali possibilità di miglioramento – la legge elettorale, appunto - ma che trova più facile trovare nel dualismo “elezione diretta – comunicazione semplicista” la minestra perfetta per puntare ad una lunga leadership del paese, si spera non un ventennio, che inevitabilmente ci porterebbe ad una lunga e sofferente decadenza. Non è disonestà intellettuale dire che questa destra non è pronta a governare, lo si vede dalle amministrazioni locali e regionale dove ogni giorno vengono fuori nuovi scandali, bensì è la chiara presa di coscienza di un opportunismo politico che stride parecchio con le reali necessità del paese: riunire i maggiori poteri sotto un’unica persona (avete mai sentito parlare le destre di un possibile semipresidenzialismo, piuttosto?) rappresenta l’immotivata digressione dai temi veri ed importanti, nonché, come dicevo, una totale mancanza di rispetto verso la prima carica dello Stato. Se ad oggi ci troviamo in questa situazione è proprio grazie al sistema parlamentare che vede nel Capo dello Stato una figura di stabilità politica, non di pedina da rimuovere quando lo si vuole, come suggerisce il Cavalier Berlusconi.

Quello è trasformismo, non è responsabilità.

Adesso godiamoci le vacanze elettorali.

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