Il Premierato è la madre delle riforme?
- Manuel De Maria
- 8 nov 2023
- Tempo di lettura: 4 min
Approvato in Consiglio dei Ministri a inizio novembre, Giorgia Meloni l’ha definita la madre delle riforme, ciò su cui gioca tutta la sua forza parlamentare. In campagna elettorale era stato promesso un presidenzialismo, poi riadattato a semi-presidenzialismo e, infine, ne è uscita una riforma ambigua che tanto vuol fare ma che poco ottiene. Le ambizioni di fatto sono poche e il rischio accentramento è alto. Non ci sono, quindi, reali aspettative per una riforma costituzionale che modificherà l’assetto istituzionale del nostro paese

La riforma
Il DDL contiene al suo interno vari spunti per comprendere in che modo la Carta verrà modificata dal centrodestra: sulla scheda elettorale, il cittadino troverà il nome del Presidente del Consiglio candidato e le liste a lui/lei collegate. Anche la modalità d’elezione sarà differente: non ci sarà la doppia scheda per le due Camere, bensì una sola. L’elettore, dunque, sarà portato a scegliere fra vari candidati investendo uno di loro di mandato popolare.
Da qui c’è un chiaro iter. Non sarà più il Capo dello Stato a nominare il PdC incaricato ma potrà comunque accettare o meno la lista dei ministri. Di fatto, nessuna possibilità di poter affidare l’incarico a un successivo primo ministro nel caso in cui il Governo cada. In quel caso, a succederlo sarà un componente della maggioranza in cui è stato eletto l’ex premier che godrà, paradossalmente, di poteri più ampi del predecessore in quanto potrà sciogliere le Camere senza avere legittimità diretta dal popolo. Non è prevista la formula della sfiducia costruttiva, proposta dal Partito Democratico. Inoltre, nessuna possibilità di Governi tecnici, dal momento in cui il nuovo premier sarà figlio della stessa maggioranza che ha sfiduciato l’altro, creando un cortocircuito di maggioranza. In ogni caso questa possibilità è ancora al vaglio in quanto non si esclude un ritorno alle urne e lo scioglimento delle Camere nel caso in cui l’esecutivo non abbia più la fiducia.
Verrà poi eliminata la figura del senatore a vita. Non verranno rimossi dall’incarico gli attuali ma, dal momento dell’approvazione della riforma, lo diventeranno solamente gli ex Presidente della Repubblica.
Il premio di maggioranza
Cambiano anche i premi di maggioranza, ponendo dei paletti per una legge elettorale che non verrà costituzionalizzata ma sicuramente regolamentata in alcune delle sue forme. L’articolo 3 del testo prevede: “la legge disciplina il sistema elettorale delle Camere secondo i principi di rappresentatività e governabilità e in modo che un premio, assegnato su base nazionale, garantisca il 55 per cento dei seggi nelle Camere alle liste e ai candidati collegati al presidente del Consiglio dei ministri”. Non è garantita, però, la percentuale sopra la quale verrà assegnato questo premio: chiaramente sarà difficile ottenere tanti seggi con una percentuale sotto il 30/35% ed è per questo che, molto probabilmente, si preferisca un sistema maggioritario che prevalga sul proporzionale, l’esatto contrario di quanto avviene adesso.
Le riflessioni
All’attuale stato delle cose, quanto ci serve una riforma come quella del premierato che non mette al centro le reali necessità della precaria democrazia parlamentare ma, piuttosto, ne mortifica le principali funzioni?
De facto: i poteri del Presidente della Repubblica verrebbero ridotti, se non svuotati della loro principali funzioni, quali la nomina di un primo ministro incaricato e dello scioglimento delle Camere, che prevedono dunque la possibile composizione di un Governo tecnico le cui possibilità, con la nuova manovra, sarebbero completamente rimosse.
Il Primo Ministro sarebbe sì investito dalla scelta popolare, ma nel caso di sfiducia da parte del Parlamento, non sarebbe prevista la sfiducia costruttiva sul modello tedesco e, per tali motivi, la maggioranza parlamentare dovrebbe comunque scegliere tra un membro eletto della stessa maggioranza. Non ci sarà modo, dunque, di scegliere un premier extra parlamentare e neanche di ricercare maggioranze diverse da quelle costituite post elezioni.
Infine, si cerca di costituzionalizzare parte della legge elettorale, ma con qualche criticità: il sistema maggioritario non è particolarmente amato dai cittadini e non assicura la rappresentanza dei partiti, anche più piccoli, all’interno dell’arco costituzionale. In prospettiva, è ovvio che Giorgia Meloni provi ad affondare per una riforma che garantirebbe assoluta governabilità a lei, al suo partito e al suo governo per altri anni ancora.
Intanto la Premier è affiancata da un gruppo di psicologi ed esperti nella comunicazione per redigere il testo referendario affinché possa essere quanto più diretto possibile.
Nel 2016 il referendum costituzionale affondò il Governo Renzi. Anche stavolta, non ci si aspetta che la maggioranza abbia i numeri per approvarla direttamente.

La staffetta con l'autonomia differenziata
Appare chiaro, adesso, pensare che la mossa di Meloni e il completo via libera della sua maggioranza sia da interpretare in ottica di autonomia differenziata. La riforma voluta dalla Lega non è tecnicamente di carattere costituzionale, ergo non necessita di larghe intese, ma è necessario comunque trovare il più ampio coinvolgimento possibile all’interno della compagine di destra. È chiaro, quindi, che niente viene dato per scontato: Salvini e Meloni chiedono reciprocamente garanzie sulle rispettive, grandi riforme, ambiziose per i leader, un po’ meno per il paese, considerando che l’approvazione del DDL Calderoli metterebbe a serio rischio la sopravvivenza per le regioni meridionali che si vedrebbero tagliati i fondi derivanti da una differente modalità di raccolta dei tributi.
Ciò che comunque dovrebbe far preoccupare i più, indipendentemente dallo “scambio” con la Lega, è il contenuto zoppo della riforma che pecca comunque in molti ambiti e non regola decisamente l’ingovernabilità che ha attanagliato le ultime legislature. Ben distanti da quella che inizialmente era una forma di presidenzialismo prima e di semi-presidenzialismo alla francese poi, la sensazione è che questa riforma possa distogliere dai reali problemi attuali del paese.
Comments